Affrontare il bullismo: capire, prevenire, reagire
Il bullismo non è una fase. Non è uno scherzo. Non è un rito di passaggio. È una ferita silenziosa che si consuma tra i corridoi di una scuola, tra i banchi di un'aula, nelle chat degli smartphone. Spesso, quando se ne parla, si usano parole vaghe, rassicuranti, che sembrano voler minimizzare: "sono ragazzi", "impareranno da soli", "ci siamo passati tutti". Eppure, per chi lo vive, il bullismo è tutt'altro. È isolamento, paura, perdita di fiducia in se stessi. È qualcosa che può segnare per anni.
In questo lungo approfondimento, cerchiamo di restituire al tema la complessità che merita. Non offriremo solo definizioni, ma racconteremo situazioni, meccanismi psicologici, dinamiche sociali. Perché il primo passo per sconfiggere il bullismo è parlarne in modo serio, onesto, non giudicante.
Quando il disagio si trasforma in normalità
“Mi prendevano in giro per il mio accento”. “Ridevano ogni volta che parlavo”. “Mi nascondevano lo zaino, ogni giorno”. Queste frasi potrebbero arrivare da qualsiasi scuola italiana. Il bullismo spesso si mimetizza. Comincia con un soprannome detto ridendo, continua con l'esclusione da un gioco, cresce con i commenti velenosi nelle chat di classe. Diventa una costante.
Quando il comportamento offensivo si ripete nel tempo, quando c'è un evidente squilibrio di potere (fisico, sociale, psicologico) tra chi agisce e chi subisce, si può parlare di bullismo. La componente intenzionale – cioè il desiderio di ferire – è ciò che distingue lo scherzo da un atto di prevaricazione.
Chi sono i protagonisti (e le vittime)?
Il bullo non è sempre il ragazzo più forte fisicamente. Spesso è colui che ha bisogno di dominare per nascondere insicurezze personali, o per mantenere uno status nel gruppo. Può essere popolare, simpatico agli adulti, invisibile nella sua crudeltà. La vittima, invece, può essere chiunque: il più timido, il più brillante, il “diverso” per aspetto, origine, genere, orientamento. Non esiste un profilo unico.
Ma c'è anche una terza figura: il gruppo. Gli spettatori. Chi ride, chi non dice niente, chi pensa “meglio lui che me”. Ecco, è proprio lì che si può iniziare a spezzare il meccanismo.
Le forme del bullismo: oltre i pugni
Immaginiamo ancora che bullismo significhi “botte dietro la scuola”. Ma oggi assume forme più subdole:
- Verbale: insulti, soprannomi offensivi, derisione costante
- Sociale: esclusione sistematica, isolamento, manipolazione del gruppo
- Fisico: spintoni, schiaffi, danneggiamento degli oggetti personali
- Cyberbullismo: foto private diffuse, commenti crudeli online, profili falsi
Il cyberbullismo è la nuova frontiera. È pervasivo, h24, lascia tracce, ma spesso sfugge al controllo degli adulti. E può essere ancora più doloroso, perché amplificato da una platea invisibile.
Segnali da non ignorare
Chi subisce bullismo raramente parla subito. A volte per paura, altre per vergogna, o perché si convince di “meritarselo”. Ma ci sono segnali che genitori e insegnanti possono cogliere:
- Improvvisi cambiamenti di umore
- Calo del rendimento scolastico
- Assenze frequenti e ingiustificate
- Oggetti personali danneggiati o persi spesso
- Disturbi del sonno o dell'alimentazione
- Isolamento o ansia sociale
Il dialogo aperto è fondamentale. Non servono interrogatori, ma sguardi sinceri e domande vere: “Come stai davvero?”, “Ti senti a tuo agio a scuola?”, “C’è qualcosa che vorresti raccontarmi?”.
Il ruolo della scuola: educare, non solo sanzionare
La scuola ha il compito – e il potere – di intervenire. Ma troppo spesso lo fa solo dopo che “il caso è esploso”. È necessario lavorare prima, sul clima, sulle relazioni, sull’empatia. Una scuola che educa alle emozioni, che promuove l’ascolto, che rende protagonisti gli studenti nella costruzione del vivere insieme, è una scuola che previene il bullismo.
Alcuni strumenti concreti:
- Sportelli di ascolto psicologico
- Peer education: educazione tra pari
- Progetti teatrali o artistici per esprimere emozioni
- Regolamenti chiari e condivisi sul rispetto reciproco
- Formazione docenti continua su dinamiche relazionali e gestione dei conflitti
Genitori: non spettatori, ma alleati
Spesso i genitori si sentono impotenti. Altre volte tendono a minimizzare. “Non è possibile, mio figlio non farebbe mai una cosa del genere”. Ma ogni bambino può sbagliare. Ogni ragazzo può sentirsi in difficoltà. L’educazione familiare resta il primo presidio contro il bullismo.
Consigli per i genitori:
- Ascoltare senza giudicare
- Non reagire con rabbia, ma con fermezza e lucidità
- Collaborare con la scuola, non mettersi in conflitto
- Insegnare il valore del rispetto, con l’esempio
Un figlio che offende va aiutato a capire, non solo punito. Un figlio che subisce va sostenuto, non compatito.
Il valore delle parole (e del silenzio)
Ogni parola ha un peso. Lo ha quando viene detta con leggerezza, lo ha quando viene taciuta. Un’offesa ripetuta cento volte diventa una verità nella mente di chi la riceve. Il silenzio di chi assiste è una seconda forma di violenza.
Per questo è fondamentale educare al linguaggio non violento, alla comunicazione empatica, alla capacità di dire le cose senza ferire. Un tema che dovrebbe entrare nei programmi scolastici fin dalle primarie.
Restituire dignità: il percorso di guarigione
Uscire dal bullismo è possibile. Ma serve un lavoro delicato, di accompagnamento, di ricostruzione della fiducia. Chi è stato vittima ha spesso una percezione alterata di sé: si sente “sbagliato”, fragile, isolato. Serve tempo per ricostruire la propria immagine, per riallacciare legami, per riappropriarsi dei propri spazi.
In questo processo sono fondamentali:
- Supporto psicologico individuale o di gruppo
- Attività creative e sportive che rafforzano l’autoefficacia
- Relazioni positive con adulti di riferimento
- Coinvolgimento attivo nella vita scolastica
Perché parlare di bullismo è un atto politico
Parlare di bullismo non riguarda solo la scuola. Riguarda la società. Una società che normalizza l’insulto, che premia l’aggressività, che deride la diversità, è una società che alimenta il bullismo. Per cambiare davvero, bisogna partire dai modelli culturali: dai media, dai social, dal linguaggio politico, dai reality show.
La scuola è uno specchio, ma anche un laboratorio. E noi adulti siamo sempre, in qualche modo, esempi. Anche quando non ce ne rendiamo conto.
Conclusione: educare al rispetto, ogni giorno
Il bullismo non si combatte con una circolare o un volantino. Si combatte ogni giorno, in ogni gesto, in ogni parola. Con l’educazione all’empatia, al dialogo, alla solidarietà. Serve una comunità che non giri lo sguardo, ma che guardi negli occhi chi ha bisogno.
Serve una scuola che insegni che la forza non è dominare, ma proteggere. Che il coraggio non è offendere, ma difendere. Che le parole possono ferire, ma anche guarire. La differenza la facciamo noi. Ogni giorno. Con ogni scelta.